Convegno 2002: Moneta, mercanti, banchieri

Riassunti degli interventi




Michael von Albrecht, Soldi e ricchezza in Seneca: temi ed immagini

Nella parte prima di questa conferenza esamineremo le metafore provenienti dalla sfera monetaria, soggetto questo quasi inesauribile ed indicatore della profonda impronta lasciata dal mondo monetario nella lingua latina in generale ed in quella di Seneca in particolare. Nella seconda parte parleremo della valutazione del denaro e della ricchezza nella filosofia di Seneca (trattandosi in questo capitolo dell'applicazione dei termini nel senso letterale). Finalmente - combinando il livello letterale con quello metaforico - parleremo della metamorfosi filosofica dei termini di ricchezza e povertà, tema inseparabile da numerose critiche indirizzate alla persona del moralista.
La lingua e lo stile di Seneca sono pieni di vocaboli ed espressioni tratte dalla sfera finanziaria. Ciò risulta dal fatto che Seneca nella vita quotidiana si occupava dell'amministrazione dei suoi beni, ma anche dal fatto che i suoi lettori facevano parte della stessa classe possidente e che l'autore voleva raggiungerli parlando il loro stesso linguaggio.. Tensioni interessantissime tra il vocabolario ed il contenuto risultano dal fatto che Seneca è consapevole del contrasto ideologico tra la filosofia che predica e la vita che egli stesso ed i suoi lettori stanno vivendo. Da autore ingegnoso è capace di trarre dall'uso di parole ed immagini provenienti dal mondo del denaro degli effetti non solo umoristici ma anche degni di una riflessione seria. Così la rivalutazione dei valori correnti tramite la filosofia si concretizza in una forma linguistica e letteraria individuale, concreta e piena di vita. Ci attira soprattutto la capacità di Seneca di riflettere un cambio nel pensiero e nella gerarchia dei valori nei cambi nell'uso - ora letterale, ora metaforico, ora oscillante tra i due - del vocabolario finanziario, trasformandolo così in uno strumento di precisione per descrivere i gradi successivi del distacco spirituale di quelli valori. Quindi Seneca è riuscito a spiritualizzare un importantissimo aspetto della vita quotidiana dei romani e forse il più resistente allo spirito filosofico: quello del denaro.




John Bodel, Omnia in nummis: Money and the Monetary Economy in Petronius

Talk of money is ubiquitous in what survives of Petronius's Satyrica. It pervades the conversation of the freedmen assembled at Trimalchio's table and governs the arch moralizing of the more elevated characters. And yet, as R. Duncan-Jones has observed, "no coherent framework of the wealth within which [Petronius's] characters move emerges despite the many financial details" (Economy of the Roman Empire, 239). A fresh examination of the evidence for monetary sums in Petronius, with a view less to assessing the plausibility of the various figures than to evaluating the characters' attitudes toward them, reveals a dichotomy between fundamental confidence in the stability and authority of coinage and a general mistrust of wealth. A threshold divides the discourse about sums above and below the amount of HS 100,000, with language reflecting perceptions and attitudes. For the freedmen, socially adrift in the world of the Roman economy, the fixed value of minted coin provides a sense of security in the face of the precarious gain and loss of wealth. For the more sophisticated charlatans in the novel, wealth is a guise to be assumed for the purposes of deception; true value lies elsewhere. A disquieting convergence of the two themes emerges in the figure of the money- changer, whom Trimalchio admires for his skill in detecting counterfeit coin (56.1-2).




Jean-Pierre Callu, Succès et limites du solidus constantinien

Le solidus: une monnaie réelle, une monnaie de compte, une monnaie unique.
I): Les décalages chronologiques: après la pénurie du IIIe S., le IVe présente deux phases:
- jusqu'en 358: réalimentation des circuits:
a) le legs tétrarchique: prédominance officielle du denier (ratio 1 à 12), mais réquisitions chroniques de métaux précieux;
b) la munificence constantinienne: débuts difficiles, puis, en 312, 315, 324, 342, exploitation de réserves et de gisements nouveaux.
- jusqu'en 408: le bimétallisme:
a) création de la «silique» surévaluée (ratio de 1 à ca 14);
b) lois de purification et de régulation des espèces d'or et d'argent (366-368);
c) «Erhebungs-» et «Verausgebungsadaeration» accroisent la présence du solidus et sa valeur de référence.
Le Ve S. voit le «splendide isolement» de l'or, après la fin des trésors d'argent et la raréfaction du bronze jusqu'à la réforme placibilis d'Anastase; en revanche, acclimatation dans un milieu élargi.
II): Le bilan: contraste des succès et des limites:
a) - succès politique: suprématie internationale; maintien de l'unité de l'Empire, puis de la nébuleuse de la Romanitas;
- succès administratif: précision et rationalisation de la comptabilité duodécimale des impôts et traitements;
- succès financier: confiance, d'où freinage des prix par rapport au solidus.
b) - limites économiques: rigidité du sou («grosse coupure», pesanteur du transport), propension à l'immobilisme et manque d'élasticité (le test de l'usure);
- limites sociales: très longtemps une monnaie pour les riches; interférences avec la barbarisation.
III): Le solidus et la chute de l'Empire d'Occident:
La Pars Occidentis est-elle morte sur un tas d'or? En fait, a) atouts et facteurs négatifs similaires à l'Ouest et à l'Est; b) l'Empire continue jusque sous Théodoric; c) action déterminante de la politique d'austérité budgétaire de Marcien et Anastase.




Adolfo J. Domínguez, Comercio, santuarios y moneda en la Grecia arcaica

El propósito de mi intervención es analizar las relaciones entre el comercio, los santuarios y la moneda. Sin entrar en detalle en la cuestión de los orígenes de la moneda, asunto que será abordado en otra de las intervenciones del Convegno, analizaré la relación existente entre la misma y su uso por parte de los comerciantes, especialmente en sus transacciones exteriores. Este uso se inserta, especialmente, dentro del ambiente del emporion, en el cual también los santuarios juegan un papel relevante, al ser las instituciones que, al menos durante el período arcaico, garantizan la equidad de los intercambios.
Teniendo esto en cuenta, mi intervención intentará mostrar las interrelaciones existentes entre esos diferentes fenómenos y cómo los diversos desarrollos que han ido afectando a cada uno de ellos han ido teniendo repercusiones en los demás. Así, el desarrollo del papel de los santuarios como los ambientes privilegiados para la acumulación de parte de los excedentes económicos de la comunidad y, sobre todo de los aristócratas, convertirá también a éstos en los receptores de las primeras monedas, que actúan como símbolos de valor; también, la expansión del comercio ultramarino y, seguramente, una mayor articulación de los contactos comerciales entre diversos territorios griegos, favorecerán el desarrollo de la moneda para agilizar los mismos, y ello a pesar de que las ciudades se mostrarán sumamente celosas a la hora de permitir la circulación de monedas ajenas dentro de sus ámbitos propios.
La intervención se inserta, ante todo, dentro de un análisis sobre las características del comercio arcaico en el que, con bastante frecuencia, se viene minimizando el papel de la moneda, considerada en ocasiones como poco relevante desde un punto de vista comercial, al haberse buscado su significado a partir de otras premisas; parece, sin embargo, poder demostrarse a través de información numismática y también epigráfica, que ha podido desempeñar un papel más relevante en una época de madurez del comercio durante época arcaica, en la que un medio para establecer el valor y, por extensión, para agilizar los intercambios, ha acabado por convertirse en algo necesario.
Así, y en relación con el tema general del Convegno, se insistirá en presentar a la moneda como uno de los principales factores de dinamización del comercio arcaico.




Michele Faraguna, "Nomisma" e "polis". Aspetti della riflessione greca antica sul ruolo della moneta nella società

Scopo di questa relazione è quello di approfondire il tema dell'impatto avuto dall'introduzione della moneta e dell'affermarsi progressivo in un'economia almeno in certi settori ampiamente monetaria sulle categorie di pensiero dell'uomo greco. Partendo dall'assunto che l'antichità greca mai produsse una teoria economica della moneta, si cercherà nondimeno di valorizzare gli aspetti «dinamici» esistenti all'interno di quel complesso di teorie, idee e nozioni più o meno compiutamente elaborate e ampiamente condivise sul ruolo della moneta nella società, valutandone il significato di fronte agli sviluppi e alle tendenze realmente in atto nella società delle città greche.
Sul piano lessicale, verrà evidenziato come il termine nomisma faccia la sua comparsa, ad indicare la moneta, soltanto nella seconda metà del V sec. e come questo fatto di per sé testimoni l'emergere di una qualche riflessione sulla natura del nuovo strumento di scambio. Al medesimo arco cronologico come momento dell'emergere, in termini «positivi», di una teoria sulla funzione della moneta nella società porterà anche l'esame dell'ideologia della ricchezza riflessa in alcuni autori della letteratura greca attivi tra il VI e la fine del V sec. Attenzione verrà in particolare dedicata alle teorie dell'Anonimo di Giamblico sui benefici derivanti alla società nel suo complesso da un'ampia circolazione della moneta. La seconda parte della relazione verterà sulle concezioni «negative» della moneta nella tradizione postsocratica e in particolare nell'opera di Platone e Aristotele.
Verranno soprattutto esaminate la definizione platonica del nomisma quale symbolon tês allagês heneka e l'aporia posta dalle due discussioni aristoteliche sull'origine e la funzione della moneta in Pol. I e E.N. V. Seguiranno alcune considerazioni conclusive sui caratteri del «pensiero economico» greco e sulla centralità al suo interno, anche per le reazioni che seppe produrre sul piano della teoria filosofica, dell'esperienza della democrazia ateniese e di quel patrimonio di idee che venne a coagularsi intorno ad essa.




Thomas J. Figueira, Economic integration and Monetary Consolidation in the Athenian Arkhe

Various factors contributed to a high degree of economic integration and monetary consolidation during the period of Athenian hegemony in the Aegean basin and naval dominance over the eastern Mediterranean. Allied states in the Delian League found their economies increasingly connected to that of Athens, the largest economy among Greek city-states. These connections were solidified by symbolai, international trading agreements. The largest single governmental transfer of output was represented by allied tribute, which predominantly tendered in Athenian tetradrachms. Moreover, the rise of the Attic silver mining industry meant a plentiful supply of a higher quality of money, which was able to assume a growing role in the mediation of transactions.
The monetary reflections of this hegemonic economy were the curtailment and termination of allied minting programs, the restriction of coin series to specific administrative contexts, and an official standing for Athenian money in the local economies of the allies. I argue that this official currency for Athenian coinage was codified in the so-called "Coinage" or "Standars" decree.
Several classes of allied economies interacted with the area where Athenian money held exclusive sway through convertible coinages. One category comprised cities (some autonomous) with a high level of internal economic activity. A second category included northern Aegean states with access to supplies of silver, which acted as hubs of interaction with the interior of the Balkans.
This more integrated Aegean economy came under tremendous pressure during the Peloponnesian War, especially during its last phase, the Decelean or Ionian War. The Athenian economy suffered damage because of the plague, direct enemy action, casualties, and liquidation of reserves. The collapse of the silver mining industry also affected the viability of Attic coins as a common currency. Internal monetary effects were recourse by the Athenians to "merchant" money, coining in base metal, and a gold coinage. The decline of the Athenian economy and the damage inflicted by hostilities decoupled allied monetary systems from the Attic monetary sphere. This phenomenon appears first in the smaller and more marginal allied economies, ones with less access to regional and international coinages. This process often took the form of coining lighter and fractional coins. Eventually there was an upsurge of minting by individuale poleis, not only by states constrained to sustain local economy activity but also by defectors from the alliance with Athens. The latter often adjusted the standard and denomination of their coins to facilitate cooperation with the Peloponnesian enemies of Athens.




Daniele Foraboschi, Vicino ed Estremo Oriente: forme dello scambio monetale

Malgrado il decreto monetario ateniese del quinto secolo a.C. il sistema monetario greco resta caratterizzato da una variegata pluralità di emissioni. Tuttavia il prestigio delle "civette" ateniesi qualificò questa moneta come una moneta internazionale, addirittura massicciamente imitata dagli ultimi Faraoni egiziani. I re ellenistici si faranno eredi di questo prestigio, così che gli alessandri coniati su piede attico unificheranno amplissimi territori fino all'Estremo Oriente (a parte l'Egitto, e poi Pergamo). Questo successo dello standard attico si continuerà con l'impero romano, quando la dracma attica - di peso ridotto - verrà equiparata al denario in un sistema unificato che coinvolgeva (con la solita eccezione dell'Egitto) Europa, Asia, Africa.
Il successo del denario si proietterà sino in India e Sri Lanka, dove sono stati trovati vari ripostigli di monete romane, che verranno anche imitate. Come mostra il papiro di Vienna (P.Vindob. G 40822 v) gli scambi tra Oriente ed Occidente erano fitti e certamente reciproci: l'oro e l'argento romani esportati in India funzionavano come merci e dovevano essere valutati a peso. Non si può quindi parlare di deficit della bilancia commerciale romana per una serie di motivi (le esportazioni romane in India). Soprattutto perché l'utilizzo delle monete preziose a peso fa sì che non ci sia più distinzione tra commercio estero e commercio interno.
Comunque l'eccedenza delle importazioni orientali non dovrebbe avere superato lo 0.5% del PIL presunto dell'Impero romano. Un entità non così grave come sembrò invece a Plinio il Vecchio.




Alberto Grilli, Le due facce della moneta nella letteratura latina

La tradizione più genuina, a Roma, com'è logico, è quella che ha - segreta o no - molta ammirazione per il denaro, che è più agevole da usare che non la ricchezza, che di solito è quella fondata sui beni terrieri. Per questo nella commedia le furberie degli schiavi sono tutte giocate sui soldi, il vecchio ricco e avaro viene burlato dal giovane che dei soldi sa che uso fare.
Politicamente è una gara ad arricchirsi: con i commerci, con l'usura, che a Roma trionfava; è il successo della classe dei cavalieri.
Ma con l'arrivo della cultura filosofica nasce una letteratura che ricusa la ricchezza, perché non dà la felicità; c'è di più: il denaro non rende buoni, anzi il più delle volte il denaro ci fa cattivi. C'è anche chi ha seguito i dettami della filosofia, come lo schiavo Epittéto. Ma la buona società romana non disprezzò mai la ricchezza: chi cercò di trovare una soluzione che "salvasse capra e cavoli" fu Seneca, da una parte ricchissimo ministro di Nerone, dall'altra seguace (e poi maestro) dello stoicismo.




Peter Herz, Die Arbeitsweise der staatlichen Finanzverwaltung in der Kaiserzeit

Das Imperium Romanum wurde bei der Verwaltung seiner Finanzen mit einigen grundsätzlichen strukturellen Problemen konfrontiert. Die Provinzen im Mittelmeergebiet produzierten die wirtschaftlichen und finanziellen Überschlüsse für das gesamte Imperium. Die Grenzprovinzen im Nordwesten des Imperium und entlang der Rhein- und Donaugrenze, in denen sich die Masse des römischen Militärs konzentrierte, waren wahrscheinlich auf Dauer defizitär oder bestenfalls in der Lage, eine Kostendeckung zu erreichen. Ein weiteres Problem wurde durch die internen Strukturen der römischen Steuererhebung geliefert. Neben Sachsteuern auf Ernteerträge (decuma, octava) oder Pachtleistungen der Domänen wurden von den Römern auch Abgaben erhoben, die als reine Gelderträge eingezogen wurden (Kopfsteuer, Freilassungs- und Erbschaftssteuer, Zölle an den Binnen- und Außengrenzen). Dabei sind für Freilassungs- und Erbschaftssteuer (vicesima libertatum, v. hereditatum) ebenso wie für die Erhebung der Zölle (portoria) eigene Verwaltungen nachgewiesen, die weitgehend autonom arbeiteten.
Ziel meines Beitrags ist es, ein Arbeitsmodell zu entwickeln, wie diese unterschiedlichen Verwaltungen kontrolliert wurden und wie sie es durch ihre Zusammenarbeit ermöglichten, die notwendigen Ausgaben und Leistungen bereitzustellen. Dabei ist es naheliegend, dieses System vor allem unter dem Gesichtspunkt seiner Arbeit für das Militär zu prüfen, das den größten Ausgabenposten im römischen Staatshaushalt darstellte.




Francesca Lamberti, Ricchezze e patrimoni femminili in Apuleio

La caratterizzazione della ricchezza in Apuleio è influenzata da riflessioni filosofiche. Il modello del ricco (come quello del povero) è topos letterario diffuso nel principato. Nell'opera del retore-filosofo di Madaura è presentato come socialmente accettabile il ricco che non fa sfoggio della propria opulenza, quasi simile al povero nelle abitudini e nell'immagine esterna (cfr. Metam. 1.22; 4.9). Più di un indizio, soprattutto nell'Apologia di Apuleio, induce a credere che possa trattarsi di una forma di autorappresentazione dell'autore. Sovente compare, nei suoi scritti, anche la figura della donna ricca ma misurata nei propri atteggiamenti pubblici e oculata e prudente nei propri comportamenti economici. Un esempio significativo è rappresentato da Plotina, moglie di un alto funzionario imperiale caduto in disgrazia, cui la donna fornisce sostegno prezioso sino alla riabilitazione di lui. Non improbabile che, anche nel dare contorno a talune figure di mulier locuples nelle Metamorfosi, Apuleio si rifacesse alla realtà della propria esperienza. Sua moglie, Pudentilla, a quanto risulta dai dati forniti nell'Apologia, era appunto donna dotata di non comune senso degli affari e di accortezza nella cura dei propri interessi. Pudentilla, vedova quarantenne, sui iuris (ancorché sotto tutela) e titolare di un patrimonio di 4 milioni di sesterzi, aveva sposato in seconde nozze Apuleio, straniero nella comunità di Oea, e di dubbie fortune, ponendosi in tal modo in contrasto con la famiglia del primo marito. Gli adfines di lei avevano perciò accusato Apuleio di averla indotta al matrimonio per mezzo di sortilegi. Nella difesa giudiziaria pronunciata pro se da quest'ultimo, il retore si sofferma sulle questioni patrimoniali e di diritto privato attinenti all'amministrazione delle fortune di Pudentilla (ché anche - e forse - soprattutto dalla valutazione dei profili economici dipendeva la sua assoluzione). Ne risulta il quadro di una ricca possidente terriera, titolare di enormi proprietà oggetto sia di colture estensive che intensive, di un ingente numero di servi rustici, di animali da pascolo e da soma, e di immobili urbani. Un ritratto pressoché "classico" di un personaggio abbiente di estrazione senatoria (che tale fosse il background di Pudentilla risulta dall'analisi di alcune epigrafi provenienti dalla Tripolitania). Apuleio fornisce dati di rilievo, nel contesto in esame, in riferimento all'applicazione del diritto privato romano in Africa nel II sec. d.C. Il quadro risultante dall'Apologia è quello, in ultima analisi, di una donna assai sicura di sé, che usa le proprie ricchezze per tener testa ad un contesto sociale a dominanza maschile e piegarlo ai propri voleri. Una donna non più giovanissima, ma piena di esperienza, che con atteggiamento non aggressivo, ma tenace, in modo cauto e previdente, sfruttando avvedutamente l'avidità di chi la circonda, riesce a influenzare le decisioni dell'ambiente circostante in sintonia con i propri interessi. Non desta pertanto meraviglia che anche il giurista Gaio, che scriveva - come Apuleio - nell'età di Antonino Pio, nelle sue Institutiones finisse per definire fittizio e specioso quello che, all'epoca sua, era divenuto, oramai, solo un topos: la levitas animi femminile.




Elio Lo Cascio, Il denarius e gli scambi intermediterranei

Recenti indagini sulla composizione degli strati della calotta polare artica in Groenlandia e altre ricerche sui sedimenti dei bacini lacustri di Svezia, Svizzera e Spagna hanno rivelato come la polluzione della troposfera nell'emisfero settentrionale a seguito dell'attività di estrazione dell'argento, del piombo e del rame abbia raggiunto in età romana un livello non più toccato sino alla rivoluzione industriale. In particolare la polluzione da piombo segnala un'assai cospicua produzione di argento e conseguentemente di moneta argentea, mentre l'elevatissima produzione di rame va vista come indicativa di un'assai intensa e continua attività di coniazione di moneta enea. Una testimonianza indipendente del livello della produzione di moneta nell'impero mediterraneo soggetto a Roma è quella fornita dalla documentazione numismatica stessa, sottoposta in questi ultimi anni a sofisticate indagini quantitative. Duncan-Jones ha potuto prospettare una stima dello stock di moneta nell'impero alla metà del secondo secolo d.C. che parrebbe indicare, congiuntamente, un'accentuata monetarizzazione dell'economia e il raggiungimento, dopo un processo di crescita secolare, di un reddito pro capite assai superiore a quello della minima sussistenza (e dunque un livello complessivo di surplus decisamente elevato).
Un grado così elevato di monetarizzazione e un livello di reddito quanto meno paragonabile a quello raggiunto da altre economie preindustriali a noi più vicine nel tempo sono il diretto prodotto non tanto della conquista romana, quanto dello stabilimento di condizioni più pacifiche e sicure entro il Mediterraneo e dell'unificazione delle regioni mediterranee in un'unica organizzazione politica. Soprattutto rilevante, in questa prospettiva, è l'indubbia drastica diminuzione dei "costi di transazione". La soppressione della pirateria già negli ultimi decenni dell'età repubblicana, la diffusione di una "technology of measurement" e di comuni sistemi metrologici, la diffusione di regole comuni nell'àmbito di ciò che possiamo definire il diritto commerciale, nonché della nozione romana della proprietà sono tutti fattori che hanno contribuito a questa riduzione.
Ma è forse la creazione di un'area monetaria unitaria e integrata entro il Mediterraneo il fattore che più ha contribuito alla riduzione dei costi di transazione. La moneta prodotta dalla zecca centrale circolava quasi dappertutto nell'impero: nessuna moneta nella storia dell'occidente può dirsi a miglior titolo del denarius e dell'aureus effettivo predecessore dell'euro. Le monete prodotte e circolanti localmente erano legate alla moneta prodotta centralmente da un sistema di cambi fissi. L'obbligo di accettare la moneta non contraffatta che portasse sul dritto il vultus dell'imperatore (il suo rifiuto si configurava come crimen) può essere visto come un ulteriore strumento per rendere più sicure e dunque meno costose le transazioni commerciali entro l'impero.
L'esistenza di un organismo politico unitario, con le sue peculiari esigenze fiscali, può peraltro avere favorito l'instaurarsi di rapporti commerciali a lunga distanza secondo il meccanismo delineato da un fortunato "modello" interpretativo dell'economia romana: il modello "tasse-commercio". Nella relazione si proporranno una serie di integrazioni e correzioni di tale modello al fine di una migliore comprensione della natura, della consistenza e dei limiti delle relazioni commerciali su lunga distanza entro l'impero. Si proporranno, inoltre, alcune considerazioni circa l'impatto che l'evoluzione sul lungo periodo dei movimenti di merci e di moneta può avere avuto sulle performances economiche delle varie regioni dell'impero.




Sandra Marchetti, La rappresentazione del denaro in Plinio il Vecchio e nel moralismo romano

Entro la tradizione filosofica socratica, un motivo frequentemente attestato, da autori sia greci che latini, è il biasimo del denaro, che viene considerato come qualcosa di negativo o per lo meno superfluo e che non appartiene all'ambito della natura. Posizioni di questo tipo, benché originariamente nascessero entro quei settori che (come il cinismo) interpretavano nel modo più rigido e austero la filosofia e l'esempio di Socrate, erano tuttavia destinate a diffondersi e ad influenzare in varia misura il comune modo di pensare. Nella Roma del primo periodo imperiale, il successo della diatriba cinico-stoica, i cui luoghi comuni si diffondevano sia attraverso la predicazione nelle strade che attraverso le scuole di retorica, è un fenomeno vistoso e Plinio ne risente fortemente. D'altra parte, all'epoca di Plinio, quello stesso pubblico che dal moralismo era abituato a sentir svalutare e condannare il denaro e le altre cose apparentemente belle e vantaggiose per la vita, era ampiamente abituato a servirsi sia del denaro che degli oggetti di valore: e un'opera come la Naturalis historia, proprio in quanto ha come scopo dichiarato l'utilità dei suoi lettori, doveva necessariamente prendere come materia di informazione positiva, entro il suo discorso, quegli stessi oggetti (denaro, metalli preziosi, gemme ...) che le formule di pensiero e di linguaggio attraverso cui quel discorso stesso in ampia misura si svolge condannavano. Così, il libro XXXIII della Naturalis historia contiene una storia della monetazione romana, che è stata di grande e riconosciuta importanza per gli studi di numismatica; ma nel medesimo libro, il denaro viene condannato come causa e origine di tutti i mali legati all'avidità: e tale è l'efficacia della condanna pliniana che (ricordiamolo) l'asserzione di Plinio che pone la moneta all'origine dell'avaritia verrà ripresa e valorizzata da Marx ai fini di un'analisi della psicologia dell'accumulazione. L'opera di Plinio sembra dunque procedere secondo due registri: di positiva informazione e di condanna moralistica. Un esame della Naturalis historia, condotto molto sinteticamente libro per libro, permetterà di verificare concretamente su quali prodotti della natura si incentra l'interesse dell'autore e del suo pubblico dal punto di vista del denaro, cioè dal punto di vista in base al quale i prodotti naturali diventano "merce": e quindi quali reazioni (di approvazione e entusiasmo, ma anche, e spesso insieme, di riprovazione e rifiuto) si connettano a questo punto di vista. Il ricorso di Plinio alle posizioni e al linguaggio del moralismo di origine socratica apparirà come una scelta dettata da una autentica nostalgia per il passato "povero" di Roma idealizzato come migliore del presente; ma anche come la scelta di uno strumento con cui si tenta, in mancanza di più adeguati mezzi di espressione e (soprattutto) di analisi, di collegare il mondo della natura, con i suoi semplici "oggetti", al mondo della società romana che, per il tramite del denaro, di quegli oggetti fa commercio e consumo.




Arnaldo Marcone, Moneta e commercio in una città di frontiera: Palmira tra II e III secolo d.C.

Si deve riconoscere all'intuito e all'intelligenza storica di Michele Rostovtzeff il merito di aver reso popolare l'associazione di Palmira all'idea di città carovaniera grazie a un libro dal titolo suggestivo ed evocativo. La peculiarità di Palmira risulta dall'evoluzione del suo assetto istituzionale. Al modello civico delle città greco-romane Palmira sembra accostarsi per gradi con modalità sue proprie in un processo di lenta assimilazione. Oggi è senz'altro preferibile una definizione più articolata e, alla fine, più restrittiva di quella cui, a suo tempo, pensava Rostovtzeff, che cercava una risposta alla mancanza di urbanizzazione della regione siriaca in età imperiale romana. Attualmente si propende a considerare "città carovaniere" quelle città che, avendo la base fondamentale delle loro entrate nel commercio di transito, acquisiscono un prestigio di capitali regionali e si propongono come centri-chiave per la diffusione di prodotti di particolare rilevanza economica.
Malgrado la frammentarietà delle nostre fonti, la crescita di Palmira è ineludibilmente connessa con il suo inserimento nell'orbita di interesse romano. Il crescente interesse di Roma per Palmira appare riconducibile a quello che essa può rappresentare per il controllo della zona desertica compresa tra l'oasi e l'Eufrate. L'incontro tra le esigenze romane e le attitudini commerciali palmirene si tradusse in un successo. L'ingrandimento della città significò la stabilizzazione dei nomadi della regione che si insediarono anche nelle alture nordoccidentali dove si realizzò rapidamente, con il sostegno romano, un sistema di canalizzazione per sviluppare l'agricoltura e l'allevamento.
Ma come si deve immaginare l'organizzazione del traffico carovaniero? Come si deve concepire in concreto l'azione dei grandi commercianti, onorati con tanta solennità nell'agorà della città, e che sembrano esserne stati i veri leaders per più di un secolo?
Il caso più noto che ci è stato tramandato dall'epigrafia palmirena, è quello di Marcus Ulpius Iarhai. La fortuna di Iarhai sembra coincidere con l'apogeo del traffico carovaniero palmireno: le iscrizioni celebrano infatti un'attività concentrata in un arco di tempo relativamente ristretto, gli anni che vanno dal 155 al 160.
Il successo dei Palmireni conobbe una brusca battuta di arresto. Le iscrizioni, così come le torri funerarie e gli ipogei, scompaiono infatti dal panorama della città siriaca per oltre trent'anni, sino al 193.
E' questo il primo periodo di crisi del commercio palmireno. Nel corso del III secolo, contrassegnato da un intensificarsi delle tensioni e dei conflitti tra Impero persiano e romano, esso conosce fasi alterne. In particolare il cambio di dinastia che ha luogo in Persia, con l'ascesa al trono dei Sasanidi, propugnatori di una politica espansionistica, riduce inevitabilmente lo spazio di manovra dei Palmireni.
Le vicissitudini politiche e militari del III secolo nella regione sono tali da portare al rapido esaurimento del ruolo commerciale di Palmira. Dopo il regno di Caracalla, infatti, ci sono giunte solo tre iscrizioni carovaniere nel periodo compreso tra il 247 e i primi anni '60. L'ultima iscrizione carovaniera che ci è pervenuta risale al 266 è una dedica onorifica bilingue in cui si celebra Settimio Vorode.




Giancarlo Mazzoli, La moneta nell'immaginario latino

Ammessa in moneta la maggiore probabilità d'una derivazione etimologica da moneo, si esaminano gli episodi che radicano nella tradizione latina la genesi del lessema, quale appellativo di Giunone, e la sua successiva evoluzione semantica per via metonimica: a designare inizialmente il tempio capitolino consacrato alla 'dea del ricordo', poi il sito, ivi annesso, della prima zecca di Roma, infine il prodotto metallico della coniazione. Di pari passo con la storia della parola e del suo utilizzo in termini finanziari vengono a generarsi i campi metaforici che, fuori del freddo linguaggio tecnico, proiettano il lessico monetario nell'immaginario latino, attingendo peraltro a tal fine a tutte le sue principali valenze economiche (funzione commerciale, valore nominale, corso ufficiale). Il processo si esercita in svariate direzioni: dall'ambito intellettuale e morale a quello linguistico, retorico, stilistico; ma anche il pensiero cristiano, specialmente sulla scorta d'una famosa parabola evangelica, si approprierà della metafora, per indicare nella sua interezza la creatura umana quale prodotto della 'coniazione' divina.




Guido Milanese, Il lessico latino della ricchezza e della povertà

Lo studio esamina le aree semantiche relative a ricchezza e povertà in latino, con riferimenti al lessico greco. Sotto l'apparenza di aree poco indifferenziate esistono invece articolazioni fondate essenzialmente sul tratto di assenza-presenza dei beni, ovvero di necessità. Lo sviluppo delle aree semantiche fu soggetto all'influenza della cultura filosofica assorbita dalla civiltà romana; nella filosofia ellenistica, infatti, il concetto di "bisogno" ha importanza centrale in rapporto alla definizione della tipologia dell'autosufficienza e quindi della modellizzazione della felicità/infelicità. Non meno rilevante, particolarmente all'epoca della tarda repubblica, fu l'interazione con l'ideologia della conservazione del patrimonio, che definiva l'Idealtypus del cittadino esemplare anche in rapporto alla capacità di non disperdere il patrimonio ereditato ponendo in tal guisa le condizioni per un depauperamento e un arretramento nello status sociale. E' rilevante l'influenza di questa tipologia semantica anche a livello di teorizzazione linguistica e letteraria; il lessico del latino cristiano e medievale porrà poi queste articolazioni semantiche in rapporto con la tipologia biblica del "povero" e del "ricco".




Nicola Parise, Aspetti della monetazione in Magna Grecia fra il VI e il V secolo a.C.

Origine e diffusione del sistema monetario "acheo".
Statere "acheo" e statere "fenicio": i rapporti di cambio.
Lo statere "acheo" fra Ionio e Tirreno alla metà del secolo V; sua riduzione ed allineamento dell'unità dal Golfo di Napoli al Golfo di Sant'Eufemia, da Punta Stilo al Golfo di Taranto.
Il nomos italiotikos.




Renato Raffaelli, Il denaro nelle commedie plautine

Il denaro ha un'importanza decisiva nell'intreccio della più gran parte delle commedie di Plauto. La situazione tipo del servo furbo, che deve escogitare un inganno per sottrarre dalla borsa del padrone (o di un lenone) i denari che servono al padroncino innamorato per riscattare e continuare a godersi la sua bella, la ritroviamo, con varianti più o meno marcate, in quasi metà delle commedie plautine. Nell'Asinaria: con l'anomalia che il padre, qui, dapprima non è in conflitto con il figlio, perché è l'arcigna madre Artemona a tenere ben stretti i cordoni della borsa. Nelle Bacchides: per la complicazione delle due gemelle Bacchidi, il furbissimo servo Crisalo qui si cimenta addirittura in un doppio inganno per sottrarre al padrone Nicobulo i denari necessari al padroncino per riscattare Bacchide I dal soldato Cleomaco, che l'ha presa in affitto. Nel Curculio: ove è il parassita eponimo a trovare i soldi necessari al giovane Fedromo per appropriarsi dell'amata Planesio, a danno del lenone Cappadoce. Nell'Epidicus: qui il servo Epidico è costretto a un tour de force di inganni ai danni del vecchio Perifane per soddisfare il continuo bisogno di denaro del figlio di costui, Stratippocle, che si innamora una dopo l'altra di due ragazze - ma la seconda si scoprirà sua sorella, e il giovane ritornerà al primo amore. Nella Mostellaria: qui la piccola anomalia è nel fatto che il servo Tranione non inganna il padre di Filolachete per sottrargli il denaro, ma per fargli credere che i soldi, che il figlio ha sperperato in sua assenza col solito scopo di riscattare la bella cortigiana Filemazio, siano stati invece impegnati col più nobile fine di acquistare una nuova casa, in sostituzione di quella "infestata" dai fantasmi. Nel Persa: ove la grossa anomalia è che il servo ingannatore, che per tenersi la cortigiana Lenniselene truffa una grossa somma al lenone Dordalo, non agisce in conto terzi, per il solito padroncino innamorato, ma, per una volta, soltanto per se stesso. Nello Pseudolus: qui il più furbo di tutti i servi furbi di Plauto, con un complesso raggiro che coinvolge - oltre il lenone Ballione - anche il vecchio padrone Simone, riesce a far avere al padroncino Calidoro la somma necessaria per ottenere l'amata cortigiana Fenicio. Nella Rudens, infine, ove troviamo una sorta di rovesciamento del solito meccanismo: il giovane Plesidippo infatti ha già pagato una caparra al lenone Labrace per avere la bella Palestra, ed è il lenone che tenta di truffare il giovane partendo improvvisamente per la Sicilia - buon mercato a quel tempo per i gestori di bordelli - portando via sia la ragazza, sia la caparra; il servo Tracalione, in questo quadro, dovrà aiutare il padroncino non a trovare il denaro, ma a ritrovare la ragazza e a strapparla al lenone.
A parte l'Amphitruo, che come tragicomoedia ha caratteristiche tutte proprie - ma nella quale pure il dio Mercurio esordisce nel prologo con una tirata sulle sue prerogative di protettore dei commerci e dei guadagni, in patria e all'estero (vv. 1-16: la parola lucrum vi compare ben quattro volte) - anche nelle restanti commedie il denaro e la mercatura entrano largamente in gioco. Nei Captivi il vecchio Egione, per cercare di recuperare attraverso uno scambio il figlio prigioniero, si è ridotto a acquistare prigionieri di guerra e a fare, in sostanza, il mercante di schiavi. Nella Cistellaria la trama prende spunto - e trae il suo scioglimento - da una vicenda capitata tanto tempo prima al vecchio Demifone, quando in gioventù, viaggiando per esercitare la mercatura da Lemno a Sicione, aveva messo incinta una ragazza del luogo. Anche nei Menaechmi le peripezie che fanno da antefatto alla vicende portate in scena si riferiscono a personaggi che hanno viaggiato per esercitare la mercatura: ad una "fiera" di Taranto, durante la quale si svolgevano dei ludi e grande dunque era la confusione, un mercante di Siracusa ha smarrito uno dei suoi figli gemelli, che è stato raccolto da un altro mercante di Epidamno e portato in questa città, dall'altra parte dello Ionio. Nel Mercator, come è indicato dallo stesso titolo, il giovane Carino, seguendo controvoglia l'esempio paterno, è tornato da un lungo e proficuo viaggio d'affari riportando, oltre un buon guadagno, anche la bellissima schiava Pasicompsa, comprata a Rodi sulla via del ritorno: attorno alla bella cortigiana, che suscita l'interesse del padre, si sviluppa il conflitto figlio/padre, con il meccanismo dei sostituti (qui, due compiacenti compratori) che ricorda da vicino l'analoga situazione della Casina. Nel Miles Gloriosus non vi sono mercanti: ma, spinto dalla furbizia del servo Palestrione, il soldato Pirgopolinice è paradossalmente costretto a "pagare", in vestiti e gioielli, la buonuscita alla cortigiana Filocomasio: con un completo e buffissimo rovesciamento della norma secondo cui è l'innamorato che deve cercare il denaro per procurarsi la ragazza, qui è il possessore della donna che è indotto dalla beffa, portata fino al limite estremo, a sborsare del suo per "liberarsene". Nel Poenulus il servo Milfione, per aiutare il padroncino Agorastocle contro il lenone Lico, escogita una complicata trappola giudiziaria, che dunque non riguarda direttamente il denaro: alla fine della vicenda, tuttavia, il disgraziato lenone, oltre al valore pecuniario delle due ragazze che gli vengono sottratte perché scoperte di nascita libera, perderà una bella somma di danaro liquido, dovendo pagare la multa comminatagli per aver perduto la causa con Agorastocle. Con lo Stichus torniamo all'antefatto della mercatura: due fratelli, mariti di due sorelle, sono andati a cercare fortuna all'estero e il padre delle donne, poiché i due dopo tre anni ancora non accennano a ritornare, vuol convincere le figlie a divorziare da mariti che non sanno garantire loro altro che l'abbandono e la miseria: ma le donne persistono nella fedeltà ai mariti lontani e vengono premiate dal ritorno dei due, che hanno fatto grandi affari e sono diventati abbastanza ricchi da guadagnare finalmente la considerazione e l'approvazione del suocero. Non c'è quasi bisogno di precisare, a conclusione di questo lungo elenco (peraltro non completo: vedi infatti subito sotto) delle commedie in cui sono centrali o comunque rilevanti i motivi del denaro e della mercatura, che tali motivi debbano risalire, in massima parte, alle tematiche e ai nuovi orizzonti aperti e "borghesi" della Commedia Nuova, da cui Plauto ha preso i suoi modelli: ce lo mostra con chiarezza il fatto che essi, come abbiamo appena visto, siano parte essenziale dell'ossatura stessa di quasi tutte le commedie del Sarsinate.
Delle rimanenti commedie plautine - lasciando da parte il pochissimo che ci resta della Vidularia - due, la Casina e il Truculentus, rimangono quasi del tutto fuori dal nostro polo d'interesse, ma le altre due, l'Aulularia e il Trinummus, pongono al centro della loro vicenda proprio il tema del rapporto con il denaro. Nella prima, come si sa, è l'avaritia - nella forma dell'ossessivo timore, da parte del vecchio spilorcio Euclione, di essere derubato del tesoro che ha ritrovato in casa - il motore di tutti gli avvenimenti. Nella seconda, in cui pure c'è la presenza di un tesoro (il modello greco, opera di Filemone, si intitolava appunto Thesaurós), alla base della vicenda è il vizio opposto, la luxuria: in assenza del padre, il giovane Lesbonico ha infatti scialacquato a piene mani, dissipando tutti i beni di famiglia di cui poteva disporre, e di qui traggono origine le difficoltà e le complicazioni su cui si fonda la trama del Trinummus.
Proprio su queste due commedie, e per queste loro caratteristiche, la mia relazione si soffermerà in maniera più dettagliata.




Roberto Ruozi, Sulle motivazioni dell'emissione del "nuovo anfizionico"

I motivi che stanno alla base dell'emissione monetaria della Lega anfizionica possono essere economici o politici. In realtà, essi potrebbero anche essere congiunti nel senso sia che un'emissione effettuata per motivi economici fatalmente produce anche effetti (e quindi raggiunge scopi) di tipo politico sia che un'emissione effettuata per motivi politici fatalmente ha un impatto economico, la cui entità dipende da diverse caratteristiche della stessa emissione.
Esaminando quelli di carattere economico essi potrebbero essere di due tipi: un motivo economico tecnico ed un motivo economico più generale.
Il vantaggio economico tecnico è stato molto limitato, tale da non giustificare da solo l'emissione. Dato che la massa di monete messe in circolazione è stata molto contenuta, i motivi economici in senso stretto dell'emissione anfizionica sono stati molto labili.
L'esistenza di un obiettivo politico è in linea con l'essenza stessa di un'emissione monetaria. Da quando la moneta circola come normale mezzo di regolamento degli scambi il potere di battere moneta è stato uno dei perni della sovranità nazionale. La Lega anfizionica non può essere considerata uno Stato, ma ha gradatamente avuto il ruolo di autorità sovranazionale, che ha ampliato il suo potere. Non stupirebbe quindi se nell'affermazione sempre maggiore di quest'ultimo essa avesse deciso di battere moneta. Con l'esercizio di tale potere la sua visibilità e la sua fama sono stati certamente maggiori.




Marta Sordi, Un tentativo di moneta unica nella Grecia del IV secolo a.C.: il kainon amphiktionikon

L'arcontato delfico di Palaios, sulla cui datazione, fra il 339/8 e il 337/6, i moderni ancora discutono, è l'anno di una svolta molto importante nella politica dell'Anfizionia: come risulta da un'epigrafe delfica, sotto Palaios vengono istituiti i tamiai, un nuovo collegio finanziario incaricato di coniare la nuova moneta anfizionica, e avvenne il "cambio della guardia" degli ieromnemoni tessali, con la sostituzione di Cottifo e Colosimno con i più energici collaboratori di Filippo, Daoco e Trasideo, famosi per aver contrastato Demostene quando i Tebani, da lui incitati, abbandonarono la Macedonia e si allearono con Atene, prima di Cheronea.
Della coniazione della nuova moneta siamo informati solo dalle fonti epigrafiche e dall'esistenza di una ventina di pezzi, con relativa leggenda, ma non dalle fonti letterarie: questo spiega l'incertezza dei moderni sul significato di questa emissione, politico-propagandistico, secondo alcuni, e da collegare con gli interessi di Filippo, puramente finanziario, secondo altri, e da collegare col versamento del tributo focese.
Io credo che sia decisivo, per intendere il significato della emissione anfizionica, domandarsi se essa sia avvenuta prima o dopo Cheronea e inquadrare la vicenda nella politica che Filippo e i Tessali svolgevano servendosi dell'antico organo panellenico.




Reinhard Wolters, Zwischen Asien und Europa: Die Anfänge der Münzprägung

Mit dem Erscheinen ester handlicher, im Gewicht genormter sowie gesiegelter Metallstücke in Lydien sind Münzen eine asiatische Erfindung, doch mit ihrer von den Griechen getragenen Ausbreitung über den gesamten Mittelmeerraum vor allem eine europäische Erscheinung. Vor dem Hintergrund gerade in neuerer Zeit intensivierter Untersuchungen zu den Anfängen der Münzprägung sowie allgemeinen Geldentstehungstheorien wird das Aufkommen der ersten Münzen in den Kontext vormonetärer Geldformen gestellt und die besondere Rolle des Elektron für die Entstehung der Münzen hervorgehoben. Doch während mit den Elektron-Prägungen vor allem die Form der Münzen gefunden worden war, brachte erst die Ausprägung von als Wertmaßstab etabliertem Gold und insbesondere Silber den Durchbruch zu einem auch gemeinschaftübergreifenden "all-purpose-money".
Die erfolgreiche Verbreitung der Silbermünzen ist darüber hinaus nicht von der griechischen Polis zu trennen. Nach den durch sie gegebenen spezifischen gesellschaftlichen Bedingungen und der Rolle der Münzen in ihr soll gerade im Kontrast zu den nichtgriechischen kleinasiatischen Verhältnissen gefragt werden. Insgesamt werden verschiedene Stufen einer Entwicklung, nicht einer Erfindung der Münzen erkennbar, die auf jeweils unterschiedliche Verhältnisse und Anforderungen reagierten, wobei die Existenz der Münzen wiederum zum Katalysator für weitere wirtschaftliche und insbesondere auch gesellschaftliche Prozesse wurde.