G. Polara (Napoli), Tra invasioni e sommosse: dalla certezza sul destino eterno di Roma al saeculum senescens
Violenza e paure, organizzate e casuali, ricorrono nelle testimonianze
latine sugli anni del Decline and Fall con tanta frequenza da sovrapporsi quasi
alla tematica della decadenza dell'impero e della fine di quello d'Occidente:
occupazioni e saccheggi da parte di popolazioni straniere, sommosse e rivolte
di ceti subalterni per questioni di immediata sopravvivenza, scontri tra fazioni
religiose con uccisioni di massa, non solo per motivi di fede, distruzioni operate
da folle di tifosi in occasione di vicende del mondo dello spettacolo e dello
sport costituiscono un tessuto che innerva opere storiografiche ed apologetiche,
non meno di quella sorta di terrorismo di stato che si configurava nelle repressioni
preventive contro cui la storiografia senatoria aveva cominciato a scrivere
già dai tempi del principato.
Piuttosto che percorrere una documentazione così vasta o tracciare un
sommario status quaestionis sulla sterminata bibliografia, si è preferito
rivolgere l'attenzione non agli avvenimenti né alle condizioni di vita,
ma alle loro rappresentazioni in scritti a forte componente retorica e spesso
poetica, e quindi alle tecniche letterarie che gli autori ritenevano più
adatte a rappresentare con efficacia il proprio punto di vista su quanto stava
succedendo ai loro tempi, nell'intento di sostenere una tesi in maniera convincente
più che di registrare, nei limiti del possibile, la verità sulle
fortune o sulle disgrazie tra cui si trovavano a vivere e di cui volevano informare
il destinatario dei propri testi in forme consapevolmente tendenziose, ma nel
rispetto di regole ben note al lettore (quello contemporaneo, s'intende) e da
lui pienamente condivise.
A questo fine si è percorso il testo dell'Eucharisticos di Paolino di
Pella, il nipote di Ausonio, che nel corso del V secolo vede sparire tutte le
enormi ricchezze ereditate da parte di madre, ma anche provenienti dalla famiglia
paterna o acquisite con il matrimonio come dote, per occupazioni, rapine, rivolte
che vedono protagonisti tanto le popolazioni germaniche quanto factiones di
galloromani avverse ai proprietari più ricchi; il fallimento dei tentativi
di fuggire via dalla Gallia per recarsi in oriente, dove tra l'altro era nato
e dove era situata gran parte dei suoi possedimenti; la perdita di un figlio
coinvolto in un'oscura vicenda alla corte del re visigoto Teoderico II; le paure
per la vita propria, per quelle dei parenti e della familia, per la popolazione
delle cittadine aquitaniche di Bordeaux e di Bazas in cui trascorse i difficili
anni fra il 407 e il 455; l'angoscia per la povertà in cui era costretto
a trascorre i suoi ultimi anni testimoniano, nel confronto fra i versi di questo
ottantatreenne poeta e quelli del famoso e potente nonno, il passaggio dall'indiscussa
fiducia nel mito e nell'eternità di Roma al convincimento che di fronte
al disfacimento delle istituzioni e della civilitas unica soluzione è
il rifugio in una realtà alternativa, quella della fede che promette
generose ricompense per le sofferenze di questo mondo.