Convegno 2003: L'Illirico nell'età greca e romana

Riassunti degli interventi




Géza Alföldy (Heidelberg), Die "illyrischen" Provinzen Roms: von der Vielfalt zu der Einheit

Illyricum (Illyris) hieß im Altertum bekanntlich nicht nur eine kleine Region nördlich und nordwestlich von Griechenland, auch nicht nur eine Provinz des Imperium Romanum. In der römischen Kaiserzeit entstand der Begriff eines 'Großillyricum', das die im illyrischen Zollbezirk vereinten Provinzen von der oberen Donau bis zum Schwarzen Meer umfasste. Wir haben es mit einer Region innerhalb des Imperium Romanum zu tun, die ähnlich wie vor allem die gallisch-germanischen, die hispanischen, die nordafrikanischen oder die kleinasiatischen Provinzen in mehrfacher Hinsicht eine Einheit bildete. Die einheitlichen Züge der Region entfalteten sich als Folgen der politisch-administrativen Maßnahmen Roms und des Romanisationsprozesses. Die Hauptfaktoren, die der Region ein einheitliches Profil verliehen, waren folgende: Die Errichtung eines Straßennetzes, welche die Kommunikation nicht nur mit Italien und anderen Nachbarregionen, sondern auch innerhalb der Region erleichterte; die Einführung eines einheitlichen Verwaltungssystems nach den gleichen Mustern in allen 'illyrischen' Provinzen, u. a. auch mit einigen provinzübergreifenden Institutionen; die Entstehung des donauländischen Militärblocks innerhalb des exercitus Romanus; die italische Kolonisation, die Bürgerrechtsverleihung, die Urbanisation; die Herausbildung eines mehr oder weniger einheitlichen Wirtschaftsraumes; die Adaptation des römischen Gesellschaftssystems durchgehend in einer etwas 'reduzierten' Form; die Besonderheiten der kulturellen Entwicklung; die Ansätze zur Entstehung eines regionalen Selbstbewusstseins und eines eigenen Identitätsgefühls.




Claudia Antonetti (Venezia), Il sistema coloniare corinzio-corcirese tra Ionio e Adriatico: convergenze e discontinuità nella mitologia delle origini

La relazione si propone d'impostare metodologicamente la ricerca di ciò che si può definire "tradizioni delle origini" - nel senso tripartito di origini divine / eroiche / umane - per le fondazioni greche dell'area ionico-illirica. Particolare attenzione verrà prestata, in quest'ambito, all'individuazione di vere e proprie forme di autorappresentazione, circostanza peraltro rarissima alla luce della documentazione esistente: in tal senso, il grande donario eretto dagli Apolloniati ad Olimpia (metà c. V sec. a. C.) per commemorare la loro vittoria su Thronion - e insieme le origini divine ed eroiche della propria polis - rimane un unicum. Si esperirà anche il tentativo di non considerare isolatamente quest'area storico-culturale, ma di metterla in relazione dialettica - sempre in tema di origini - con le madrepatrie, ma anche con le aree coloniali più vicine, in particolare quella danubiana e del Ponto Eussino.




Luciana Aigner Foresti (Wien), Gli Illirici in Italia: istituzioni politiche nella Messapia preromana

Secondo la tradizione greca e romana i Messapi, gli antichi abitatori della penisola salentina, facevano parte degli Iapigi, etnonimo che comprendeva anche i vicini Peucezi ed i Dauni, ed erano divisi nelle due tribù dei Calabri e dei Sallentini. "Iapigia" sarebbe stato il nome di due città, una in Italia, l' altra in Illiria da dove i Messapi, in origine coloni illirici, sarebbero giunti in Italia guidati da Messapo. Secondo un' altra tradizione i Messapi erano cretesi.

La linguistica ha creduto di riscontrare alcune "affinità balcaniche" o "forti connessioni balcaniche" nel messapio testimoniato in circa 300 iscrizioni votive, su monete, in nomi di persone, toponimi e glosse, e ne ha potuto accertare il carattere indoeuropeo. Ma la mancanza di testimonianze scritte della lingua illirica e quindi della possibilità di ulteriori comparazioni col messapio, non permette un giudizio sicuro sulla parentela tra le due lingue, che non è dunque oggigiorno né dimostrabile né confutabile.

Gli abitati sparsi che caratterizzano l' area messapica a partire dal IX secolo a.C. e l' economia pastorale del territorio appartengono ad un' età preurbana. Solo dal VI secolo a. C., e certo per lo stimolo proveniente dalle colonie greche, si avvierà un processo di trasformazione del sistema dei piccoli villaggi di capanne in abitati più estesi con case spaziose e fortificazioni (Cavallino). Il nome comune "Messapi" suggerisce che i membri coltivavano la consapevolezza di appartenere alla stessa comunità, pur mancando nel VI secolo a. C. una coesione politica; né si ha notizia per questa epoca di culti tribali.

Non conosciamo le istituzioni politiche dei singoli insediamenti né l' amministrazione di settori relativi ai culti, ai mezzi finanziari e all' esercito, ma l'ampiezza degli abitati che denuncia un aumento di popolazione e dunque l' emergere di nuovi problemi di convivenza, le strutture abitative più complesse e le fortificazioni implicano l' esistenza di capi e di assemblee, di un esercito, di un amministratore delle risorse alimentari, ed infine di sacerdoti che garantiscono alla famiglia ed alla comunità la protezione divina. Fonti che non offrono alcun appiglio cronologico conoscono re di tribù ("degli Iapigi", "dei Messapi", "salentino"), ma anche di singoli abitati o forse di città ("di Brentesion" = Brindisi, "di Lictia" = Lecce). Qui la tradizione potrebbe riflettere due momenti successivi di sviluppo politico, quello di una monarchia che esercita il potere su tribù forse ancora nomadi e ad economia pastorale, e quello di una monarchia successiva alla dissoluzione di grandi unità tribali ed alla formazione di unità più piccole, sedentarie ed a economia agricola nelle quali vivono forse le familiae inlustres di Livio, dalle quali provengono, a loro volta, gli hegemones di Ateneo. L' esistenza verso la fine del V secolo a. C. di una palaia philia tra i Messapi e gli Ateniesi ci dice che i primi avevano avviato relazioni internazionali e fatto accordi con una potenza straniera. Intorno al 415 a. C. Atene e Artas, "dinasta dei Messapi", rinnovarono l'antica philia: Artas venne incontro ad Atene fornendo 150 lanciatori di giavellotti utilizzati nella spedizione contro Siracusa; a sua volta Atene gli concesse la prossenia, "l'ospitalità dello stato". Oltre a questi patti internazionali i Messapi si allearono con popolazioni confinanti e fecero parte di leghe di guerra, per esempio della simmachia creata dagli Iapigi intorno al 473 a. C. in funzione antitarantina e antireggina.

Ci si può chieder infine se nelle istituzioni di età romana di abitati messapici persistano istituti epicorici che, a loro volta, i Messapi possono aver derivato dalle colonie greche o più tardi da Roma stessa. A Brindisi, di cui abbiamo ricordato la monarchia, fu trovato un caduceo della seconda metà del V secolo a.C. con due inscrizioni, una in lettere greco-joniche, l' altra in lettere laconico-messapiche, iscrizioni che permettono di riconoscere che gli araldi di Turi e di Brindisi parlano, rispettivamente a Brindisi ed a Turi, davanti al damos. Ciò dimostra la collaborazione delle istituzioni di due cittadinanze diverse quali furono i Messapi ed i Greci.




Cinzia Bearzot (Milano), I Celti in Illiria. A proposito del fr. 40 di Teopompo

La più antica testimonianza della presenza di Celti in Illiria offerta dalle fonti greche, il frg. 40 di Teopompo, conservato da Ateneo (X, 443 b-c), è corrotto e presenta diversi problemi di interpretazione.

La prima parte del frammento teopompeo attribuisce alla popolazione illirica degli Ardiei il possesso di 300.000 schiavi e trova riscontro anche altrove in Ateneo (VI, 271 e). In entrambi i passi, però, l'etnico, che ricorre in X, 443 b al nominativo (Ariaîoi), in VI, 271 e all'accusativo (Arkadíous), è corrotto; le forme Ardiaîoi e Ardiaíous sono state ricostruite. Se le emendazioni sono corrette, il frammento si riferisce agli Ardiei, popolo dell'Illiria meridionale stanziato, secondo Strabone, sulla costa adriatica di fronte all'isola di Faro, all'altezza del fiume Naron (Neretva).

La seconda parte del frammento, invece, è presente solo in X, 443 b e racconta di uno scontro con i Celti, che ebbero ragione degli Ardiei con uno stratagemma che sfruttava la loro ben nota akrasía nel mangiare e nel bere. Per questa seconda parte possiamo effettuare un confronto con la versione di Polieno (VII, 42): il racconto è molto simile, ma in Polieno il nome del popolo interessato è conservato nella forma Autariâtai. Si tratta di un altro popolo illirico che le fonti concordemente ricordano come stanziato nell'interno, ai confini con la Tracia, in un territorio comprendente le valli dei fiumi Lim, Tara e Morava occidentale.

I problemi principale posti dal frammento sono quelli dell'identificazione del popolo illirico interessato e della collocazione cronologica dell'episodio. Dal punto di vista cronologico, si può affermare soltanto che l'episodio ha come terminus ante quem la pubblicazione delle Filippiche teopompee, che si pone tra il 336 e il 323. Per quanto riguarda l'identificazione del popolo, i moderni hanno optato ora per la versione offerta dal testo emendato di Ateneo (Ardiei), ora per quella offerta da Polieno (Autariati): tra questi ultimi si segnala, per ricchezza di argomentazioni, Andras Mócsy. Questi suoi argomenti:
- Gli Ardiei non erano ancora noti ai Greci all'epoca di Teopompo: il Periplo dello Pseudo-Scilace colloca ancora, nel territorio che fu poi degli Ardiei, i Nesti e i Manii; lo pseudoaristotelico De mirabilibus auscultationibus, che pure menziona gli Ardiei nel § 138, non va considerato attendibile perché contiene diverso materiale di età imperiale. E' quindi molto improbabile che gli sconosciuti Ardiei, nel IV secolo, potessero essere un popolo così grande e potente da disporre di ben 300.000 servi.
- Gli Autariati, invece, erano ben noti ai Greci già nel IV secolo: Pseudo-Scilace li menziona e Strabone li ricorda come "il più grande e potente popolo illirico" (VII, 5, 11), il che quadra con il possesso di 300.000 servi che Teopompo attribuisce al popolo di F 40.

A tali argomenti si può obiettare quanto segue:
- Non è esatto affermare che gli Ardiei erano ancora ignoti ai Greci nel IV secolo: che questo popolo illirico fosse noto a Greci e Macedoni all'epoca in cui Teopompo lavorava alle Filippiche è infatti confermato dalla campagna condotta da Filippo II nel 344/3 contro Pleurato, un re illirico che porta un nome dinastico degli Ardiei.
- Inoltre, sia il De mirabilibus auscultationibus pseudoaristotelico (§ 138), sia Aristofane di Bisanzio (Epit. II, 560), sia Strabone (VII, 5, 11) ci hanno conservato notizia della "guerra del sale" che oppose gli Ardiei ai vicini Autariati, e abbiamo motivo di pensare che la tradizione in merito risalga al IV secolo, ed anzi allo stesso Teopompo.

Per contro, proprio la conoscenza degli Autariati sembra, nel IV secolo, non ancora ben attestata presso i Greci. E' vero che Pseudo-Scilace li menziona, ma è stata trascurata la ben più significativa testimonianza di Arriano (I, 5, 1-4), che, ricordando una minaccia degli Autariati contro Alessandro all'epoca della spedizione del 335, ricorda che il sovrano reagì chiedendo informazioni "su chi fossero gli Autariati e quale il loro numero". Sembra dunque che, nel 335, Alessandro non avesse mai sentito parlare degli Autariati, il che sarebbe davvero molto strano, se Teopompo, che aveva vissuto alla corte di Pella negli anni '40, avesse avuto su di loro quelle precise informazioni di carattere storico ed etnografico che emergono da F 40; ancor più strano sarebbe se si ammettesse che Filippo aveva già avuto a che fare con loro nel 337, come è stato ipotizzato; in realtà, non vi sono notizie sicure di contatti fra Filippo e gli Autariati.

Non sembra dunque opportuno correggere il testo di Theop. F 40 riportato da Ateneo (X, 443 b-c) in base a Polieno (VII, 42): il popolo illirico di cui Teopompo parla è assai probabilmente quello degli Ardiei. Abbastanza potenti, già nella prima metà del IV secolo, da contrastare a lungo gli Autariati nella "guerra del sale", essi, nel corso dei loro spostamenti, risentirono della pressione dei Celti, subendo, in una data imprecisata, la sconfitta ricordata da Ateneo e da Polieno su base teopompea. Fin dal IV secolo i Celti sembrano dunque costituire nell'area illirica, alla quale si affacciano dalle pianure danubiane, un notevole fattore di instabilità, capace di creare problemi a popoli potenti e in ascesa come gli Ardiei e di spingersi quindi, ben prima delle invasioni del III secolo, fino ai confini del mondo greco-macedone. L'Illiria conferma così la sua funzione di cerniera tra le regioni meridionali dell'Epiro, della Macedonia e della Tracia, cui la uniscono, come è stato sottolineato, diverse e sorprendenti affinità, e le regioni settentrionali, affacciate sul mondo delle civiltà danubiane e delle pianure dell'Europa centrale.




Giovanni Brizzi (Bologna), Ancora su Illyriciani e Soldatenkaiser: qualche ulteriore proposta per una messa a fuoco del problema

Illyriciani o Soldatenkaiser sono due termini che sembrano avere ciascuno una propria condizionata validità; a patto però, almeno a mio avviso, di immaginare realtà in parte diverse da quelle solitamente delineate. Dell'Illyricum questi sovrani non sono necessariamente nativi - troppe, e comunque significative, sono infatti le eccezioni riscontrabili nello scorcio di tempo che va da Massimino alla tetrarchia -, ma possono definirsi Illyriciani in quanto in questa regione dell'impero si sono quasi tutti formati militarmente. Quanto all'appellativo di imperatori-soldati, esso è a sua volta giustificato; non nel senso consueto, tuttavia, che vede in questi uomini delle creature dei soldati, proni al volere delle masse militari fino a diventarne lo zimbello e talvolta le vittime, ma nel senso che quelle masse sono essi stessi a manovrarle. Essi stessi o piuttosto, dietro di loro, un vertice di alti ufficiali, la potentissima conventicola concentrata forse nella base di Sirmium, dove ha sede per anni l'alto comando dell'Illyricum; una sorta di giunta militare la quale riesce infine a raggiungere un accordo per la gestione del potere che condurrà all'effimero equilibrio della Tetrarchia. Di quest'epoca è stata proposta una definizione acuta, "seconda rivoluzione romana": condivisibile, a patto però che si immagini un processo pilotato dal vertice, da una classe di professionisti delle armi i quali, nel segno dell'antichissimo ma ancor vivo ideale dell'optimus, erano andati via via sostituendosi al senato nel chiedere, prima sommessamente poi con forza crescente, il diritto di governare quello Stato che, soli, si erano assunti il dovere di difendere.




Slobodan Dusanic (Beograd), Roman mines in Illyricum: Historical Aspects

The paper deals with (I) the organization of Illyrican mining, and (II) three neglected episodes of its political history (in 14 BC, 294 and 361 AD).

(I) The originality of Rome's administative treatment of the metalliferous estates in Illyricum reflects the priority of the res metallica in the hierarchy of the State' s vested interests in general.

(II) Imperial history shows that the high status of Illyrican mining was not a matter of socio- economic system only. In certain cases it was closely connected with the individual features of a reign or an important crisis.




Alberto Grilli (Milano), Alla scuola di San Gerolamo

Risulta molto interessante che una figura dell'imponente cultura di san Gerolamo abbia pensato a fondare una scuola, la prima scuola totalmente cristiana; notevole è che Gerolamo non ne parli mai. Tutta l'esistenza di Gerolamo è stata rivolta a insegnare, in un modo o in un altro, quindi non ci meraviglia che abbia istituito una sua scuola.

I problemi sono:
1. Che cosa vi s'insegnava: possiamo ricavare da una frase di Rufino che il programma è romano, fondato, dopo la grammatica, sulla lettura dei classici; vi sono contatti con l'insegnamento di Quintiliano.
2. A chi s'insegnava: si può congetturare a figli delle grandi famiglie romane legate con Gerolamo, fors'anche di ragguardevoli famiglie cristiane di Gerusalemme o Antiochia.

Si prende in esame qualche passo dell'unico sicuro allievo di Gerolamo, Asterio episcopus Ansedoniensis, per ravvisarvi tracce dell'impostazione didattica della scuola di Gerolamo.




Franca Landucci Gattinoni, Gli Illiri e i Macedoni tra V e IV secolo a.C.: storia di una pacificazione impossibile

Premessa
Parlare di Illiria e Macedonia in questa sede significa affrontare l'argomento dal punto di vista della storiografia di matrice greca, dove, in genere, quando si parla di Illiri si intende indicare, con questo termine etnico, il coacervo di tribù il cui stanziamento era localizzabile ai confini nord-occidentali della Macedonia. A prescindere dalla polemica storiografica, sviluppatasi negli anni 60 e 70 del Novecento, sulla esistenza di una struttura statale compatta in Illiria a partire almeno dal V secolo, polemica nata soprattutto a proposito del riferimento del titolo di re degli Illiri a vari personaggi di spicco, spesso in relazione proprio con la Macedonia, credo si possa concordare con chi ritiene che all'interno del mondo illirico sia ricostruibile una vicenda storica che, nel corso di circa due secoli, ha visto succedersi l'egemonia militare di parecchie tribù, ciascuna delle quali, nel momento della sua massima espansione, è riuscita a caratterizzare come re degli Illiri tout-court il proprio comandante, la cui appartenenza tribale è però sempre rimasta come fondamento imprescindibile di identità personale e regale.


Per quanto riguarda, invece, i rapporti diretti Illiria - Macedonia, al di là di ipotesi di espansione illirica nella pianura macedone (valle dell'Axios - zona di Vergina) nella prima età del ferro, ipotesi fondata essenzialmente su base archeologica, il momento iniziale in cui questi rapporti "entrano" nella storia è quello della prima fase della guerra del Peloponneso, quando Perdicca II era re della cosiddetta káto Makedonía. Nell'ambito di questo primo (e problematico) contatto tra Illiri e Macedoni, due sono i punti da mettere in particolare evidenza: da un lato, l'interposizione, tra i due gruppi, di Arrabeo, re dei Lincesti, il cui territorio si frapponeva fisicamente tra quelli degli altri due; dall'altro, la caratterizzazione "selvaggia" degli Illiri, soprattutto nelle parole che Brasida, il comandante spartano alleato di Perdicca II, rivolse ai suoi uomini.

All'epoca di Archelao, figlio di Perdicca II, c'era una situazione del tutto nuova a causa della crisi, prima, del declino, poi, e, infine della scomparsa della potenza ateniese; comunque, nelle fonti relative a questo sovrano, l'unico possibile riferimento al mondo illirico è dato dalla eventuale origine illirica di Sirra, alleato, in funzione anti-macedone, di Arrabeo, re dei Lincesti, ma, soprattutto, padre di Euridice, che fu poi moglie di Aminta III di Macedonia e madre di Filippo II.

È facile leggere nella alleanza tra Arrabeo e Sirra in funzione anti-macedone lo sviluppo di un più intenso rapporto tra Illiri e Lincesti, rapporto al quale aveva già ampiamente accennato Tucidide a proposito della spedizione in Lincestide di Perdicca II e di Brasida nel 423: se allora si era trattato di mercenari illirici che, arruolati dal sovrano macedone in vista di una vera e propria invasione della Lincestide, erano passati alla parte avversa, costringendo Macedoni e Spartani ad abbandonare il territorio dei Lincesti, circa vent'anni dopo, alla fine del V secolo, gli Illiri appoggiavano direttamente e apertamente i Lincesti nella loro ostilità verso la Macedonia, ostilità che ormai non era più solo difensiva, ma appariva già carica di minaccia nei confronti dello stesso territorio nemico.

Se fino all'inizio del IV secolo l'inimicizia tra Macedoni ed Illiri si era espressa solo attraverso l'alleanza di questi ultimi con i Lincesti, che erano presentati dalle fonti greche come i veri nemici dei Macedoni, in quel momento il contrasto tra i due popoli esplose in maniera diretta e definitiva: è noto, infatti, che tutta la storia del regno di Aminta III, padre di Filippo II, è stata segnata, oltre che dallo scontro con la crescente potenza della Lega calcidese guidata da Olinto, anche dalla feroce aggressività degli Illiri, che ad un certo momento riuscirono addirittura ad invadere il cuore stesso della Macedonia, costringendo il sovrano all'esilio.

Morto Aminta III, un fragile equilibrio sembra si fosse stabilito tra Illiri e Macedoni agli inizi del regno di Alessandro II, suo figlio primogenito ed erede, ma, dopo la sua prematura scomparsa e la presa di potere del fratello Perdicca III, la situazione precipitò quando, come ci informa Diodoro sotto l'anno 360/59, gli Illiri sconfissero e uccisero in battaglia lo stesso sovrano macedone, insieme con 4000 dei suoi soldati, aprendo così la strada all'ascesa al trono di Filippo II, che si trovò a fronteggiare una situazione che poteva apparire disperata, dato che la notizia della disfatta di Perdicca non solo aizzò gli appetiti dei Peoni, che iniziarono una serie di razzie contro il territorio macedone, ma spinse anche i Traci e gli Ateniesi a rifiutare la legittimità del potere di Filippo e a sostenere le pretese di due diversi pretendenti al trono.

Le informazioni sui difficili inizi del regno di Filippo ci sono note soprattutto grazie al lungo e articolato racconto che Diodoro inserisce nei primi capitoli del libro XVI della sua Biblioteca Storica: ma, a prescindere da ogni dibattito critico sulla storiografia diodorea, è da notare comunque che lo storico di Agirio, in questo libro XVI della sua Biblioteca, si occupa più volte della "questione" illirica, dando sempre grande rilievo ai successi ottenuti da Filippo II, che, dopo la prima, grande vittoria del 359/8, vinse ancora nel 358/7, nel 356/5 e, infine, nel 344/3.

Se già nel 346 Isocrate, nel Filippo, in una lunga serie di interrogative retoriche che elencavano i tanti successi già ottenuti dal sovrano macedone, poteva ricordare agli Ateniesi che Filippo aveva conquistato e ormai dominava la massa degli Illiri, ad eccezione di quelli che vivevano sull'Adriatico, alla fine della spedizione del 344/3 il suo dominio si era sicuramente rafforzato e, durante il suo regno, nessuno poté mai dubitarne.

La sua opera fu definitivamente portata a termine dal figlio Alessandro, che, appena salito al trono, attaccò e sconfisse Clito, il re degli Illiri, che si era ribellato alla notizia della improvvisa scomparsa di Filippo; a seguito di ciò, truppe illiriche furono aggregate all'esercito macedone al momento della partenza per l'Asia, mentre, per quanto ne sappiamo, gli uomini rimasti in Illiria non crearono problemi ad Antipatro, fedele luogotenente di Alessandro in Europa.

Cento anni dopo il primo duro scontro tra gli Illiri e i Macedoni di Perdicca II, grazie alle grandi vittorie di Filippo, la frontiera nord-occidentale della Macedonia non era più minacciata dagli Illiri, che, pur continuando nel tempo ad avere rapporti con i Macedoni, non costituirono mai più un vero pericolo per gli abitanti della fertile pianura del fiume Axios: nei Balcani, cominciava davvero un'altra storia.




Domenico Lassandro (Bari), L'Illirico nei Panegirici Latini

Negli undici Panegirici Latini di età tardoantica (anni 289-389 d.C.) gli autori - la cui cultura storica e geografica appare precisa (vd., ad esempio, V/9, 20, 2-21, 3) - menzionano spesso sia il Danubio, visto soprattutto come la grande linea di confine che, insieme al Reno, divideva il mondo romano da quello dei barbari (II/10, 2, 6; III/11, 6, 6; IV/8, 3, 3; V/9, 18, 4; IX/12, 21, 3; XII/2, 5, 2, ecc.), sia la regione ad ovest del Danubio, l'Illirico.

Dell'Illirico sono ricordati, ovviamente in funzione dell'esaltazione del princeps, delle sue vittorie e della sua politica, episodi dell'antica storia in: IX/12, 5, 1 (Panegirico di anonimo per Costantino, tenuto a Treviri nel 313), ove è istituito il paragone tra Costantino, vincitore nella guerra contro Massenzio, e il grande Alessandro, che aveva arruolato i suoi soldati in Macedonia, in Grecia e in Illirico; X/4, 20, 1 (Panegirico di Nazario per Costantino, tenuto a Roma nel 321), ove si fa riferimento ad una antica guerra tra Macedoni e Illiri nel IV secolo a.C.

E sono soprattutto ricordate le vicende della storia contemporanea della regione in: VII/6, 14, 6 (Panegirico di anonimo per Costantino, tenuto a Treviri nel 310), ove si condanna Massimiano, che è stato bandito da Roma e dall'Italia e rifiutato dall'Illirico; XI/3, 6, 1-10, 3 (Gratiarum actio di Claudio Mamertino a Giuliano, tenuta a Costantinopoli nel 362), lungo passo nel quale si descrive la discesa di Giuliano lungo il corso del Danubio, nella regione illirica, verso Costantinopoli; XII/2, 11, 4 (Panegirico di Pacato Drepanio a Teodosio, tenuto a Roma nel 389), ove retoricamente è la stessa res publica a rivolgersi a Teodosio per lamentarsi delle devastazioni prodotte dai barbari e compiangere la perdita delle province della Pannonia, dell'Illirico e delle Gallie; XII/2, 39, 2, ove, all'interno del resoconto della vittoria di Teodosio sull'usurpatore Massimo, si esalta la prodigiosa rapidità con cui l'esercito dell'imperatore aveva raggiunto dall'Illirico la città di Aquileia.

Questi riferimenti all'Illirico nei Panegirici Latini sono il segno della centralità che per panegiristi gallici aveva la regione da cui provenivano proprio alcuni degli imperatori celebrati nei loro discorsi (Diocleziano, Costanzo, Costantino e, per ascendenza familiare, Giuliano).




Andreas Lippert, Die Illyrer an der unteren Adria in der Eisenzeit (11. - 5.Jahrhundert vor Chr.)

Am Ende der Bronzezeit und am Beginn der Eisenzeit kamen im Gebiet der von antiken Autoren mehrfach genannten Illyrer an der unteren Adria, im südlichen Bosnien, in Montenegro und in Albanien, große befestigte Siedlungen auf landschaftlich beherrschenden Anhöhen auf. Ein gutes Beispiel dafür ist die ausgedehnte Höhensiedlung mit umgebender mächtiger Steinmauer von Gajtan bei Shkodra. Zusammen mit einigen reich ausgestatteten Gräbern dieser Zeit deuten diese Neuerungen auf wirtschaftliche und soziale Veränderungen hin.

Offensichtlich sind diese Veränderungen auf die neuartige Verarbeitung von Eisen und die verstärkte Herausbildung des Handwerks und Handels zurückzuführen. Archäologische Zeugnisse dafür stellen Depots mit Geräten, Waffen und Schmuck und vor allem solche Horte dar, die aus Bronzeäxten vom albanisch-dalmatinischen Typus bestehen. Diese großen und schweren Schaftlochäxte besaßen mit Sicherheit premonetaren Charakter, konnten also als Zahlungsmittel eingesetzt werden. Die sozialen Unterschiede in der Bevölkerung vertieften sich in der protourbanen, mittleren Phase der Eisenzeit (8.-7.Jahrhundert vor Chr.) noch weiter. Einerseits wurden in dieser Zeit ionische, attische und korinthische Gefäße sowie Waffen importiert, andererseits erreichte die einheimische Herstellung von mannigfaltigem Schmuck und einer eindrucksvollen Figuralkunst einen besonderen Höhepunkt.

Bald darauf spiegelt sich ein Kriegeradel, der wahrscheinlich den Handel und das Handwerk weitgehend kontrollierte, in einigen reichen männlichen Grabinventaren mit Helm, Axt und Lanzen wider. Die Besiedlung wurde in dieser letzten Phase der Eisenzeit ( 6.-5.Jahrhundert vor Chr.) dichter und führte schließlich zu einem ausgeprägtem städtischen Leben und urban angelegten Zentralsiedlungen. Diese Entwicklung ging Hand in Hand mit den in der zweiten Hälfte des 7.Jahrhunderts und in der ersten Hälfte des 6.Jahrhunderts erfolgten Gründungen der korinthischen Handelskolonien Dyrrachion und Apollonia an der mittelalbanischen Küste. Aber auch zu Süditalien unterhielten die Illyrer schon in der jüngeren Eisenzeit rege Handelskontakte.




Arnaldo Marcone, L'Illirico e la frontiera nordorientale dell'Italia nel IV secolo d.C.

L'importanza strategica dell'Illirico e del versante nordorientale del crinale alpino negli equilibri politico-militari tardoantichi emerge a seguito della riorganizzazione delle province realizzata da Diocleziano alla fine del III secolo. Essa risulta particolarmente evidente con la crisi che interessa lo stesso regime tetrarchico dopo la morte di Costanzo Cloro nel 306. L'attività di Licinio nella regione dei valichi alpini nordorientali, successiva alla sua nomina a Augusto dopo la conferenza di Carnuntum del 308, sembra anticipare sviluppi successivi.

La definitiva vittoria di Costantino su Licinio allontana per qualche tempo l'Illirico dal centro della vicenda politica. Esso torna sulla scena in relazione al problema, che si rivela molto delicato, dell'organizzazione dell'Impero che Costantino vuole lasciare alla sua morte e, soprattutto, a quello della sua successione.

Le fonti letterarie offrono sporadiche ma importanti testimonianze su come si cercasse di far fronte all'aggravarsi della situazione militare dell'arco alpino orientale nella seconda metà del IV secolo. Sant'Ambrogio parla significativamente di un sistema di barriere che si andavano realizzando in quest'area.

Resta da chiarire se il sistema difensivo convenzionalmente designato con il nome di Claustra Alpium Iuliarum sia stato pensato in modo unitario e se lo si possa considerare operante già in età dioclezianea.

Quello che si vuole qui suggerire, in attesa di ulteriori, più precise informazioni che verranno dagli scavi in corso, è che ai rinvenimenti monetari, concentrati nei pressi della piazzaforte di Ad Pirum in alcuni periodi cruciali del IV secolo, possa corrispondere una frequentazione e, quindi, un'opera di organizzazione a fasi successive della linea fortificata. Non è da escludersi che almeno le opere più rilevanti risalgano alla parte finale del IV secolo quando tutto l'apparato difensivo fu organizzato secondo una più chiara intenzione strategica. Tuttavia gli scavi più recenti in Slovenia hanno reso plausibile ipotizzare una prima fase di costruzione già verso il 270 a.C. in coincidenza con la penetrazione degli Alamanni in Italia. E, anche se mancano riscontri nelle fonti letterarie, si propone da taluni studiosi di datare il grosso dei Claustra in età dioclezianeo-costantiniana o, meglio, costantiniana tout-court.

Un indizio delle trasformazioni conosciute dagli insediamenti posti nei luoghi strategicamente più rilevanti, a cominciare da quelli situati lungo la strada che da Aquileia portava a Emona attraverso appunto il passo di Ad Pirum è fornito dalla località di Aidussina (Ajdovscina), all'inizio della salita verso il valico. La denominazione di Castra è indicativa del cambiamento intercorso nella tipologia dell'insediamento, in origine un modesto villaggio sorto intorno a una mansio (mansio Fluvii Frigidi), dunque in origine una semplice stazione di sosta per i viaggiatori in transito, e della prevalente funzione difensiva da esso assunta in età tarda.




Ioan Piso (Cluj), Gli Illiri ad Alburnus Maior

La Dacia fu principalmente conquistata per ragioni militari, ma le sue ricchezze erano tutt'altro che trascurabili. Non sarebbe stato possibile né mantenere l'esercito della nuova provincia, che vantava circa 45.000 soldati né, d'altro canto, sfruttare le ricchezze del sottosuolo senza aver prima creato le strutture economiche e sociali romane. Siccome le comunità daciche erano state molto indebolite e l'aristocrazia definitivamente liquidata, si procedette ad un'intensa colonizzazione. I Carpazi Occidentali costituivano l'El Dorado del tempo. Qui, nel "quadrilatero aurifero", furono portate intere popolazioni, specialmente della Dalmazia, per affittare e sfruttare le miniere di proprietà del fisco imperiale. Anche se il centro amministrativo delle miniere si trovava ad Ampelum (l'odierna Zlatna), le più spettacolari tracce di abitazione e di sfruttamento delle risorse minerarie sono state ritrovate ad Alburnus Maior (Rosia Montana).

La ricerca archeologica di questi siti è iniziata nel 2001 e continua in un ritmo accelerato, però senza riuscire a studiare che una piccola parte del tesoro archeologico, che in breve sarà distrutto da un barbaro sfruttamento di superficie. Contro questo progetto hanno protestato decine di archeologi romeni e oltre 1000 archeologi e prestigiosi istituti di ricerca del mondo intero. La maggior perdita la costituirebbe la distruzione delle gallerie romane, di cui soltanto una piccola parte ci è nota e che devono la propria celebrità alla scoperta al loro interno delle note tavolette cerate.

Sono attestate le seguenti popolazioni illire: Pirustae, Baridustae, Ansii (Anses?), Maniataes, Sardeates, che possono essere localizzate anche nella provincia d'origine. La differenza è che in quelle regioni le strutture abitative sono evolute, mentre ad Alburnus Maior si riscopre la situazione del II secolo d.C. Le aree abitate di Alburnus Maior sono discontinue e si estendono su centinaia di ettari. Consistono in abitazioni, santuari, cimiteri, pozzi ed accessi a gallerie. Nelle iscrizioni esse compaiono sotto il nome di vici e kastella (vicus Pirustarum, k(astellum) Ansis, k(astellum) Baridustarum, k(astellum) Avieretium?). Il materiale onomastico è estremamente valoroso e continua in permanenza ad arricchirsi di nuove scoperte, mentre certe divinità attestate sono sconosciute (Apollo Pirunenus, Aptus Delm(ata?), Dei Artani, Maelanius, Na(u)o). Comunque, è certo che in quel periodo gli Illiri di Alburnus Maior si trovavano in pieno processo di romanizzazione, cosa dimostrata, tra l'altro, dal fatto che essi compaiono, anche se pellegrini di condizione, quali testimoni sulle tabulae ceratae. Certe aree abitate di Alburnus Maior sono anteriori alla fine del II secolo e, probabilmente, addirittura al 170, ma ciò non per via delle guerre, quanto per l'esaurimento dei filoni.




Marjeta Sasel Kos (Ljubljana), The Roman Conquest of Dalmatian Territory in the Light of Appian's Illyrica

When G. De Sanctis referred to the events of 167 BC, the situation after the Third Illyrian War and the division of Illyria into three districts, he remarked that between the Arsia and Narenta Rivers there was an immense lacuna, an extensive area none of which had yet been subdued by the Romans. F. Càssola added that this was true in particular after the campaign of C. Sempronius Tuditanus in 129 BC, when the Histri definitely came under Roman control. No doubt the Romans were aware of it, although for a long time they never gave priority to the conquest of Illyricum. In general, they led a pragmatic policy of solving various problems as they came along, and obviously political and military situations elsewhere required a more immediate action. Thus the conquest of Illyricum was postponed, it was being conquered gradually, and Octavian's Illyrian wars were the first systematic attempt to bring it under Roman control. Its conquest was accomplished as late as 9 AD, after Tiberius quelled the dangerous Pannonian-Delmataean revolt, which had broken out in 6 AD. In terms of later Pannonia not much territory had been under Roman control by the time of Octavian, not even the area around the important Pannonian emporium of Siscia/Segest(ic)a.

The situation in later Dalmatia was entirely different, since it was affected by the Roman expansion as early as the first Roman intervention across the Adriatic in the course of the First Illyrian War in 229 BC. Some of its history is narrated by Appian in his Illyrica, the only continuous Illyrian history preserved to date from the Greek and Roman literary production, and the only work that to our knowledge had ever been written on this subject in antiquity.

In the 1st chapter Appian described the geographic extent of Illyria, which he understood in the broad sense of his own time, the Antonine empire. More than half of Illyrica concerns the history of later Dalmatia. In the 2nd chapter Appian narrated the genealogical story according to which Polyphaemus and Galatea had three sons, Celtus, Illyrius and Galas. Illyrius in turn had several sons, daughters, and grandchildren, of which several were the ancestors of peoples who inhabited Dalmatia. These were: Encheleis, Autariatae, Taulantii, Parthini, and Daorsi. Several others that he listed were settled in other regions, while he explicitly added that there were others whom he did not mention. In the 3rd chapter Appian described the struggles between the Autariatae and Ardiaei and mentioned the Liburni and their piracy. In chapters 7-9 he gave a short account of the three Illyrian wars; several important events in the course of these wars took place in the area of later Dalmatia. In chapters 10 and 11 Appian described Roman wars against the Ardiaei, Plearaei and Delmatae.

By the time of Caesar the Delmatae, the most powerful Roman enemy on the eastern Adriatic coast after the fall of the Illyrian kingdom(s), had already occupied much of the coastal area and gave the name to the future province. In chapters 12-13 and 15, Caesar's activities in Illyricum are described, further including the activities of various Caesarian generals who fought against the adherents of Pompey, as well as Vatinius' governorship in Illyria after Caesar's assassination. Most of these events took place in Dalmatia. In chapter 16, all peoples and tribes are listed against whom Octavian fought in 35-33 BC. He made war first on the Iapodes and Pannonians (Segestani), and afterwards on the Delmatae and neighbouring peoples. The Dalmatian phase of his wars is described in chapters 25-28.

In the paper these historical episodes will be briefly commented, while attention will also be drawn to those important events in the history of Dalmatia up to Octavian's Illyrian wars, which were omitted by Appian.




Peter Siewert (Wien), Politische Organisationsformen im vorrömischen Süd-Illyrien

Großmächte haben gerade in Südost-Europa sowohl in unserer Zeit wie in der Antike die politischen Verhältnisse stark beeinflusst. Die Instrumente der Macht, d.h. die Formen der politischen Organisation, können aus der eigenen staatlichen Entwicklung stammen oder sie wurden von einer herrschenden Großmacht aufgezwungen, oder man hat sie freiwillig von einem auswärtigen Staat übernommen in der Überzeugung, daß sie der eigenen Gemeinschaft Vorteile bringen.

Das Königtum scheint der einheimischen Tradition zu entstammen, sei es, daß es sich um den Herrscher einzelner Stämme handelt, oder um den mehrfach bezeugten König der Illyrier", der wohl als Oberbefehlshaber einer aus mehreren Stämmen gebildeten Armee fungierte. Der mehrfache Wechsel dieser Hegemonie zwischen verschiedenen Herrscherfamilien - ganz im Gegensatz zu den Königshäusern der epeirotischen Aiakiden oder der makedonischen Argeaden - zeigt die labile Macht dieses Oberkönigs, dessen Autorität wohl primär von seinen militärischen Erfolgen abhing.

Was Süd-Illyrien zusammen mit Obermakedonien und Epirus verbindet und vom übrigen Mutterland unterscheidet, sind die zahlreichen Koina; das Koinon der Epeiroten setzte sich z.B. aus 7, teils neben, teils untereinander geordneten Koina zusammen. In Süd-Illyrien selbst gab es z.B. die Koina der Byllionen, der Amanten und der Balaiten. Manche Koina setzen sich aus kleineren ebenfalls Koina genannten Einheiten zusammen so daß man ein Bundesstaat, d.h. eine Föderation kleinerer Gemeinschaften, annehmen kann. Sind jedoch keine Untereinheiten innerhalb eines Koinon erkennbar, dürfte es sich um die kleinste politische Einheit, etwa um einen Kleinstamm oder eine Dorfgemeinschaft handeln. Das Gebiet der nordgriechischen und süd-illyrischen Koina ist gekennzeichnet durch seinen gebirgigen Charakter, das Überwiegen von Viehzucht und das weitgehende Fehlen von politisch unabhängigen Stadtstaaten. (Ob es sich in Süd-Illyrien solche autonomen Polisstaaten außer den alten Apoikien Apollonia und Epidamnos gab, ist ein eigenes Problem.) Diese Koina waren die politischen Organisationsformen von Klein- oder Teilstämmen, Ethne genannt, wie auch ihre Zusammenschlüsse, die ebenfalls Koina bzw. als eigene Ethne bezeichnet werden konnten. In den süd-illyrischen, offensichtlich hellenisierten Koina finden wir griechische Organe: Prytanen, Ekklesie, Bule, Grammateus, Periboloi (Grenzwächter).

Was die Außenpolitik angeht, so sind uns inner-illyrische und illyrisch-griechische Militärallianzen bezeugt, ferner dynastische Heiraten molossischer und makedonischer Könige mit illyrischen Prinzessinnen und die Aufnahme delphischer Festgesandten (Theorodokie) in süd-illyrischen Städten (z.B. Orikos, Amantia, Byllis) und damit deren regelmäßige Teilnahme an panhellenischen Festen.

Insgesamt scheinen die politischen Organisationsformen überwiegend von den griechischen Nachbarn übernommen zu sein: Von den korinthischen Apoikien z.B. der Amtstitel Prytanis oder der Münzfuß von Epidamnos für die erste Silbermünzprägung eines illyrischen Königs, nämlich des "basileus Monounios". Das System der Koina, in der die epeirotische Herrschaft organisiert war, wurde nach deren Sturz (ca. 230 v. Chr.) in Süd-Illyrien durch Neugründungen weiter gepflegt. Die politische und staatliche Gestaltung geht also vor allem auf Einrichtungen der weiterentwickelten Griechen zurück; jedoch überwiegt der Einfluß der Koina und der Ethne den des klassischen Polis-Staates.




Marta Sordi, Tiberio e la pacificazione dell'Illirico

Della rivolta che sconvolse l'Illirico fra il 6 e il 9 d.C. e che fu risolta da Tiberio con una pacificazione che risultò poi definitiva, siamo informati, oltre che da Svetonio, dal contemporaneo Velleio e da Dione, che attinge sicuramente a fonti contemporanee: colpisce l'impostazione totalmente diversa che i due autori danno della campagna e che rivela l'indipendenza delle due tradizioni, non solo per gli aspetti militari della campagna stessa, ma anche e soprattutto per il retroscena politico che essa sottintende: siamo negli anni nei quali il gruppo delle due Giulie combatte l'ultima battaglia per impedire la successione di Tiberio creando in Augusto forti sospetti nei riguardi del figlio di Livia: l'arruolamento imposto dalla gravità della rivolta illirica di elementi della plebe urbana e di schiavi e liberti crea i presupposti di una ribellione nell'esercito, anticipando i moti del 14 in Germania dopo la morte di Augusto e la contrapposizione del giovanissimo Germanico a Tiberio. La relegazione di Ovidio a Tomi nell'8 d.C., contemporanea all'esilio di Agrippa Postumo, si lascia forse intendere alla luce della scoperta di un complotto romano di cui il poeta era a conoscenza.




Francis Tassaux (Bordeaux), Commerçants et trafics entre Adriatique et Danube (Ier s. av. J.-C. - IIIe s. ap. J.-C.)

L'objectif de cette communication est de suivre l'évolution du commerce entre l'Adriatique et le Danube, à travers le Norique et la Pannonie, depuis la fin de la République jusqu'aux Sévères, en tentant de la présenter sous la forme de cartes de synthèse.

L'épigraphie lapidaire, déjà largement exploitée et, dans une moindre mesure, l'instrumentum inscriptum permettent une approche des acteurs de ce commerce. En ce qui concerne les objets de ces échange, le chercheur ne peut en avoir qu'une vision partielle, car nombreux sont ceux qui lui échappent (céréales, peaux, textiles, bétail, esclaves, vin transporté dans des tonneaux...); l'étude ne peut porter que sur des produits manufacturés (céramiques, objets métalliques, verre, ambre), sur quelques matières premières et surtout sur les amphores. Pour ces dernières, les progrès de la recherche depuis une décennie ont été spectaculaires; permettant ainsi de connaître de mieux en mieux la nature et l'origine des produits transportés, mais aussi d'établir des ordres de grandeur des différents courants, des proportions entre les divers produits et la part des régions d'origine, quand les données sont en quantité suffisante ("têtes de pont" comme Vérone, Trente ou Aquilée, "plaques tournantes" de l'intérieur comme le Magdalensberg/Virunum ou Poetovio, villes consommatrices du limes comme Carnuntum ou Aquincum). A partir de ces données toujours plus nombreuses et plus précises, les flux commerciaux et leur évolution peuvent être reconstitués avec prudence, avec toutes les nuances et réserves nécessaires.

Les résultats son présentés sur quatre cartes successives:

On ne saurait insister sur le caractère très provisoire de ces cartes, cherchant à donner la vision la plus claire possible d'un moment d'une recherche qui évolue à grands pas.




Michael Von Albrecht (Heidelberg), Hieronymus: Übersetzer und kultureller Vermittler

Zu den literatursoziologischen Voraussetzungen (I) für das Wirken des Hieronymus zählen das Verhältnis zwischen Provinzen und Rom so wie Einflüsse von Schule, Kirche und römischer Senatsaristokratie. Um sein Wirken als Übersetzer und kultureller Vermittler zu würdigen, bedarf es ferner einiger Hinweise zum Verhältnis zwischen lateinischer und griechischer Tradition (II) und zur Übersetzertätigkeit (III) in Rom. Der Aufschwung der lateinischen Literatur im 4. Jh. ist auch mitbedingt durch einen negativen Faktor: die Tatsache, daß sich die beiden Reichshälften sprachlich auseinanderleben. Der Rückgang der Griechischkenntnisse im Westen macht Übersetzungen aus dem Griechischen notwendig. Unmittelbar kommen diese Latinisierungen dem Bedürfnis des Westens nach Kenntnis der im Osten entstandenen monastischen Lebensform sowie der griechischen Philosophie und ihrer christlichen Umformung in Origenes' Bibelkommentierung entgegen. Auf lange Sicht haben die Übertragungen aus dem Griechischen Bedeutung für Philosophie und Wissenschaft des Mittelalters. Hieronymus (zu seinem Leben: IV), Schöpfer der maßgebenden lateinischen Bibelübersetzung, steht als klassisch gebildeter Gelehrter, päpstlicher Sekretär, Mönch und Kenner des Hebräischen im Schnittpunkt aller wichtigen Zeitströmungen (mit Ausnahme der Philosophie). Nach einem kurzen Überblick über lateinische Bibelübersetzungen vor Hieronymus (V) und deren Bedeutung für die Sprach- und Auslegungsgeschichte folgt eine Übersicht über die Übersetzungen und Schriften des Hieronymus (VII). Seine Christianisierung der bisherigen Literaturgattungen erfüllt einen doppelten Zweck: Er vermittelt christlichen Lesern eine fundierte Kenntnis der Bibel und das von Griechen erarbeitete wissenschaftliche Rüstzeug für eine fruchtbare, exegetisch fundierte Lektüre. Heidnischen Lesern erleichtert er den Zugang zur Bibel durch Herstellung eines genießbaren lateinischen Textes, aber auch durch die Christianisierung von Literaturgattungen wie Biographie, Roman, Geschichtsübersicht. Durch seine Literaturgeschichte legt er einen soliden Grund für Stilurteile über christliche Autoren. Gleichzeitig schafft er die Voraussetzungen für eine literarische Bibel-Lektüre, indem er die unterschiedlichen Autoren des Alten und Neuen Testaments charakterisiert und als Vorbilder bestimmter Gattungen aufstellt. Als kultureller Vermittler spielt er also eine doppelte Rolle: einerseits erstrebt er eine wissenschaftliche Fundierung des Christentums durch Erschließung der hebräischen Originale und der griechischen exegetischen Tradition, andererseits eine Propagierung des Christentums in der Oberschicht durch literarische Annäherung an den Geschmack der gebildeten Römer. Weitere Abschnitte gelten den Kriterien des Hieronymus beim Übersetzen (VIII) - sie können u.a. aus seinen kritischen Äußerungen über andere Autoren erschlossen werden - und dem Prinzip des "Gebrauchs" der antiken Klassiker (IX), das die antike Literatur - als Form - unabhängig von ihrem heidnischen Inhalt unbegrenzt verfügbar macht. Anhänge zu Sprache und Stil (X), zu Christentum und Philosophie (XI) und zum Fortwirken (XII) runden das Bild ab.




John J. Wilkes (Londra), Cultural identities in the Illyrian provinces (2nd century BC to 3rd century AD): old problems re-examined

A relative abundance of inscriptions and an increasing body of archaeological evidence combine to make the northeast of the Roman province Dalmatia a region of particular interest. The area in question is centered on the long course of the river Drina that in places forms the modern border between Bosnia-Hercegovina and Serbia. The area also includes the Cehotina, Tara and Lim valleys, along with the upper basin of the western Morava around Uzice and Pozega that lay within Roman Dalmatia. This discussion is prompted by the recent synthesis by Radmilla Zotovic's of epigraphic and archaeological evidence from this region (Radmilla Zotovic, Population and Economy of the Eastern Part of the Roman Province of Dalmatia (BAR International Series 1010), Oxford 2002. - ISBN 1 84171 440 2).

Following the pioneering studies of Irma Cremosnik of symbols and ornaments on the stone monuments of Roman Dalmatia that could be assigned to local Illyrian and intrusive Celtic traditions, Geza Alfoldy, drawing for the most part on the evidence of personal names, produced a reconstruction of the cultural and ethnic affinities of the indigenous population of northeast Dalmatia around the time of the Roman conquest early in the 1st century AD. A significant presence of personal names of Celtic origin in the Middle Drina (Skelani) and the western Morava basin was linked with the historical Scordisci, a powerful Celtic group whose conflict with the Romans dominated events in the central Balkans from the mid 2nd century BC to the early 1st century AD. After the conquest this group formed the civitas of the Dindari (listed by Pliny), while a fragmentary inscription appears to locate this group in the Skelani area. In material terms the Celtic presence is identified with the La Tene culture of the late Iron Age appearing in the area hitherto occupied by the Glasinac culture of the Hallstatt early Iron Age that some have identified with the historical Autariatae, a powerful Illyrian group before the 3rd century BC.

In regard to the well documented communities further south in the Cehotina valley (Pljevlja) and the upper Lim valley (Prijepolje), where the Celtic element in the onomastic evidence was not significant, Alfoldy, citing not only the evidence of personal names but also formulae in nomenclature, identified a significant immigrant element from the territory of the Delmatae on the central Adriatic. The name of the civitas of the Siculotae recorded by Pliny may be linked with the same region and denotes communities transplanted by the Romans into the lands of the much diminished Illyrian Pirustae following their determined resistance to the Roman occupation. Criticism of these reconstructions has questioned some of the attributions of names and has also suggested that the lapse of time between the Roman conquest and the adoption of the epigraphic habit by the early 3rd century must have witnessed many changes in population and character that determined the cultural character of these communities revealed in inscriptions. In this respect the contribution of archaeology, particular that gained through the excavation of necropoleis, may be significant.

Epigraphy remains the primary evidence for the location, creation and identity of the several Roman cities (municipia) known to have existed in this area. Since no urban site with civic buildings, except for the exceptional mining settlement at Gradina (Domavia), has yet been excavated the reality of these ostensibly urban centres must remain in doubt.

A final topic for discussion is the extent and significance of Roman mining and mineral working in this region, aside from the well known and extensive silver mines of Domavia controlled by a senior imperial procurator whose responsibilities extended north across the Dalmatian border into Pannonia.